A un passo dal gran finale, The Strain cerca di mettere tutti i tasselli a posto per regalarci la conclusione che meritiamo: dopo più di tre anni in compagnia della nostra banda di ammazzastrigoi – anche se nella serie sono passati circa 11 mesi – è il minimo aspettarsi un finale di serie che concluda tutte le storyline aperte e che vacilli tra il drammatico e l’happy ending. Perché, dopo tanta morte e distruzione, l’umanità come lo spettatore ha bisogno di un barlume di speranza!
In questo “The Traitor” nostri lavorano alacremente su più fronti per collocare il Master e distruggerlo con la bomba. Vediamo quindi, come più volte successo, l’azione dividersi in più gruppi e sottogruppi alle prese con le fasi finali della guerra.
Ritroviamo per l’ultima volta Sanjay, ex direttore della clinica degli orrori e specchio dell’umanità che ha portato alla netta vittoria del Master e al crollo della civiltà: furbo, imbroglione e interessato sola alla propria sopravvivenza a scapito di tutto e tutti, l’ex faccendiere del supremo vampiro si trova però schiacciato dalle sue stesse azioni. Per quanto questo sia un personaggio spregevole, non si può non comprendere – almeno per un breve istante – la paura che l’ha portato ad agire così.
E, parlando di traditori, finalmente l’odiato Zack ha un faccia a faccia con il proprio padre, che tenta subdolamente di incastrare nel peggiore dei modi; cosa di preciso abbia portato il ragazzino ad avere simili comportamenti non è davvero chiaro: può il risentimento portare a tanto e annebbiare la vista in un modo simile? Zack, plagiato in tutto e per tutto dal Master, appare un vero psicopatico capace di azioni spregevoli senza provare (quasi) alcun rimorso e non sembra accorgersi di come i piani dei vampiri stiano portando alla distruzione di tutto. Giustamente, i sopravvissuti della sua ex squadra lo trattano in maniera fredda e cauta, compreso il buon Goodweather, che riesce intelligentemente a smascherare la sua macchinazione. Ormai i rapporti tra i due sono compromessi e rimane solo l’innato amore che lega genitori e figli a tenere in piedi un legame tra loro che non sia odio o risentimento. Anche se questa quarta stagione è stata meno coinvolgente e riuscita delle altre, The Strain rimane un piccolo gioiellino che ha saputo emozionare e conquistare sin da subito lo spettatore amante del genere.
Con “The Traitor” ci avviciniamo sempre più – non senza un pizzico motivato di tristezza – al tanto atteso finale: la 4×09 segna la definitiva compromissione di Zack, ormai un burattino nelle mani del Master, e gli ultimi disperati colpi da entrambe le fazioni. The Strain, ancora una volta non delude, e si rivela essere una serie solida in grado di lasciare un segno con sole quattro brevi stagioni.
Clizia
Doveva arrivare ed è arrivato, ci avevano avvertito, ma un’incredulità innocente è d’obbligo quando hai adorato una serie fin dai primi minuti del pilot. L’atto conclusivo, che va a chiudere un cerchio lungo quattro stagioni e che consacra, di fatto, Guillermo del Toro a maestro dell’horror del piccolo schermo, ci lascia in bocca un sapore amaro, tipico delle serie di nuova generazione, le quali sembrano del tutto ignorare che esiste anche il lieto fine nella struttura del racconto classico. Il grande merito di The Strain, riconosciutogli fin dall’inizio, è quello di aver riportato il ruolo del vampiro nella categoria dei mostri, scrollandogli di dosso qualsiasi luccicchio e romanticismo, presentandoli in chiave moderna attraverso la scienza.
Come suggerisce il titolo dell’episodio, The Last Stand, è arrivato il momento per i nostri eroi di giocarsi il tutto per tutto, accettare di compiere l’estremo sacrificio. Il finale, drammatico e un po’ scioccante, è semplicemente perfetto. Il crescendo di pathos e azione serve a preparare l’uscita di scena di due dei protagonisti importanti della serie, anche se a tratti altalenanti, Eph e Zack. E’ il ragazzo, ancora una volta, a decidere le sorti dell’umanità, con un pentimento fin troppo repentino a mio avviso. La scelta di non uccidere il padre delude vistosamente il Maestro, guadagnando minuti preziosi. Ed è ancora lui, non prima di un toccante addio, a girare la chiave che farà esplodere la bomba, disintegrando il Maestro e confermando la teoria di Setrakian, secondo la quale la sua fine avverrà nel momento in cui si troverà isolato dai suoi “aiutanti umani”.
Per quanto riguarda Eph, invece, siamo nella zona dell’ “oltre il danno, la beffa“. Posseduto negli ultimissimi minuti della serie dal Maestro, il destino non gli aveva solo riservato la tragica uccisione della vampi-moglie, ma anche di dover decidere tra suo figlio, verso cui prova una miriade di sensi di colpa irrisolti, e il resto dell’umanità. In realtà, pensandoci bene, qualsiasi altro finale non sarebbe stato adeguato. Eph è sempre stato più antieroe che eroe nel senso classico del termine. La sua testardaggine, il suo orgoglio e il suo egoismo hanno rischiato seriamente di far segnare al Maestro partita vinta, rendendolo più vero.
Fet, d’altro canto, ha tutte le caratteristiche dell’eroe per eccellenza. Sensibile, altruista e con il pensiero sempre fisso sull’obiettivo, è il vero pilastro portante della serie. Non si è mai arreso, non ha mai titubato, ha sempre combattuto senza sosta. Come ci fanno intuire nelle scene post apocalittiche, in realtà non ha mai smesso di svolgere il suo lavoro di disinfestatore, il che rende la sua, a mio parere, una figura molto romantica. Anche Dutch, che può essere tranquillamente inserita in questa categoria nonostante il passo falso iniziale, è un personaggio molto positivo, che riesce in qualche modo, alla fine, ad espiare le sue colpe.
Una storia ben costruita e affascinante, che ci ha regalato dei momenti e dei personaggi che rimarranno a lungo nella memoria degli appassionati di telefilm. L’horror ben equilibrato per il piccolo schermo, ha contribuito a renderla la serie il mistery per eccellenza, facendola entrare di diritto tra i grandi big. Un’avventura moderna che abbraccia i grandi temi della colpa, dell’espiazione, della lotta tra bene e male, della redenzione e come sempre, dell’amore, di un padre verso il figlio. Accantonati i vampiri con “il mal di gola“, possiamo solo dire: grazie Guillermo.
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Serendipity